Considerazioni di limnologia politica.
Le recenti considerazioni apparse sui social network sul livello del lago di Viverone, sempre più simili al bollettino medico di una qualche autorità malata, riportato dai mezzi di informazione alternativamente come ferale o del tutto soddisfacente, unicamente in funzione dei dettati editoriali, mi hanno indotto a rileggere la storia annosa dei problemi lacustri, che da immigrato in età matura ignoravo completamente.
La limnologia è la scienza che studia le acque continentali “ferme”, laghi, stagni, paludi. Non stiamo parlando di fisica quantistica o di neuroscienze, ma di una scienza ben codificata e consolidata. Da secoli, millenni, siamo bravissimi a misurare, gestire, organizzare il bene primario dell’acqua. Non si tratta di decidere se crediamo o meno alla crisi climatica, piove meno ed in modo irregolare, siamo tutti concordi che l’acqua manca quando serve, oppure ne cade troppa e dobbiamo accumularla per i periodi di siccità. Tutte cose che l’umanità sa fare bene. O meglio, che sapeva fare bene.
Mio nonno non era un politico, ma un contadino del Monferrato, le cosiddette “colline magre”, dove l’acqua non è certo abbondante. Nel 1923 decise di sposarsi, e la sua prima preoccupazione, oltre a comprare a credito una coppia di buoi per lavorare la poca terra gessosa avuta dalla famiglia, fu quella di scavare un pozzo con le sue mani. “Senza acqua il Monferrato produce solo scagliola”, era il detto dei contadini dei bricchi.
Cosa c’entra mio nonno? Ripercorrendo la storia del “Contratto di lago”, ente che doveva occuparsi del lago di Viverone fin dal 2007, la prima considerazione che mi viene leggendo i verbali delle (davvero poche) riunioni effettuate, se non sbaglio 5, l’ultima delle quali nel 2022, è che se invece delle 20/30 persone presenti ci fossero stati mio nonno redivivo con altri suoi pochi coscritti, ora il problema del lago sarebbe risolto.
Leggo di tecnici preparatissimi che richiedono da tre a cinque anni di prospezioni ed analisi di dati, sento amministratori pubblici che pare vivano su un altro pianeta, tesi solo a portare a casa un effimero consenso popolare e qualche soldo destinato ad altri scopi.
Il contratto di lago esiste da 15 anni. Io non sono in grado di valutare i risultati ottenuti, se ci sono vanno esposti e valorizzati, se non ci sono, lo si chiude e si mandano le persone ad occuparsi di altro. Un qualsiasi contratto ha dei termini ben precisi, che se non rispettati portano alla rescissione del contratto stesso. Qui mi pare che più che un contratto di tratti di una trattativa infinita che giustifica solo l’esistenza di coloro che trattano, come nei mercati arabi, dove si tratta per passare il tempo e conoscere l’altro, anche se non si ha intenzione di vendere o comprare alcunché.
Lungi da me proporre soluzioni illegali, ma se davvero tanti abitanti di Viverone sono fermamente convinti che la roggia Fola sia la causa di tutti i mali e quindi da rivedere, dopo 15 anni di attesa forse sarebbe il caso di fare qualcosa e non limitarsi a fare finta di dimenticare “di essere stati presi per il s*****” (cit. De Andrè ).
Mi chiedo con manifesta esagerata ingenuità quale tipo di reato si configuri in caso di intervento di singoli. Non riesco a trovare nulla di giuridicamente più pesante di una sanzione amministrativa che come ben sappiamo colpirebbe i nostri bisnipoti. Ogni tanto la politica va spronata a tornare ad occuparsi di cose reali, pratiche, e non autoreferenti. Come contribuenti sarebbe un investimento migliore rispetto al costo del mantenimento di enti inutili ed al tempo impegnato a lamentarsi su Facebook.